Dopo gli eventi di Avengers: Endgame, Wanda Maximoff (Elizabeth Olsen) e Visione (Paul Bettany) – inspiegabilmente tornato in vita – si ritrovano nella cittadina di Westview, all’interno di una realtà che simula una sitcom degli anni Cinquanta. Ma perché i due eroi non sembrano rendersi conto della stranezza della situazione?

Nazione: Stati Uniti
Anno: 2021
Episodi: 9
Piattaforma: DisneyPlus
Genere: Supereroi, sentimentale, drammatico
Ideatore: Jac Schaeffer
Attori: Elizabeth Olsen, Paul Bettany, Debra Jo Rupp, Fred Melamed, Kathryn Hahn

Inutile nascondere che per chi, come noi, oltre all’amore per il cinema nutre anche un’enorme passione per i fumetti (in particolare quelli made in USA), il lungo digiuno di cinecomic – a meno che non si vogliano prendere in considerazione il disastrato The New Mutants della Fox/Disney o l’improponibile Bloodshot della Sony – ha reso l’attesa per WandaVision ancora più spasmodica. Così come è difficile descrivere l’emozione di rivedere finalmente il logo dei Marvel Studios, annunciato dalla sua inconfondibile sigla, in una nuova produzione. Ma dato che le cose da dire sono davvero tante, meglio chiudere qui la parentesi nerd, e partire subito con l’analisi della prima, vera serie inserita a pieno titolo nel Marvel Cinematic Universe. Non che le varie trasposizioni Netflix dedicate agli eroi della Casa delle Idee e ancora di più Agent Carter e Agents of SHIELD della ABC non lo fossero, tuttavia i loro collegamenti con i film di Iron Man e soci sono sempre stati piuttosto labili. Esattamente l’opposto di quanto ci viene offerto dal serial di Jac Schaeffer, sebbene la visione dei primi tre episodi potrebbe lasciare una parte degli spettatori alquanto sconcertati. In effetti, prima che la trama si incanali in un percorso più simile a quello che finora ha caratterizzato i lungometraggi cinematografici, troviamo Wanda Maximoff e un redivivo Visione protagonisti di una bizzarra rievocazione di popolarissime sitcom americane, che vengono omaggiate riprendendone lo stile, le tematiche, l’utilizzo del bianco e nero e persino la maniera di recitare degli attori. In questo modo, sebbene tutto, alla fine, trovi una spiegazione più o meno logica – per quanto possa esserlo una realtà popolata da esseri con superpoteri – gli autori sono riusciti a mettere in piedi un brillante gioco meta-televisivo, che ha entusiasmato la critica, ma, per contro, lasciato un po’ freddi i geek duri e puri. A noi l’esperimento è, nel complesso, piaciuto, soprattutto per la voglia dimostrata da Kevin Feige e dal resto dei vertici dei Marvel Studios di voler osare di più, sfruttando fino in fondo le possibilità offerte da una piattaforma streaming, per la quale è molto meno sentita la necessità di un ritorno economico immediato, rispetto a un blockbuster per il cinema (benché per WandaVision si parli di un budget compreso tra i 20 e i 25 milioni di dollari a puntata). Questo ha lasciato ampio spazio alla creatività e alla fantasia degli sceneggiatori, non più costretti entro i rigidi cliché dei cinecomic tradizionali. E l’aver percorso, in perfetto ordine cronologico, l’intera storia della comicità seriale americana, ha permesso a un’ampia fascia di pubblico di poter rivivere con nostalgia un particolare periodo della propria vita (forse è per questo che noi abbiamo gradito soprattutto l’episodio ispirato a Vita da strega). Esattamente quello che succede a Wanda, come ci viene mostrato in un breve ma intenso passaggio dedicato alla sua famiglia, che conferma anche il doppio significato del titolo della serie, il quale può essere interpretato come un semplice riferimento alla coppia protagonista, oppure come “la visione di Wanda”. Sicuramente sentire le risate fuori campo, vedere la vicenda interrotta da spot fittizi (a loro volta a metà tra la citazione e la parodia) o terminare con i titoli di coda, crea un indiscutibile effetto straniante. Tuttavia, questo è, se vogliamo, un ulteriore segnale dell’assenza di limiti di cui hanno beneficiato gli autori, che sono riusciti a contaminare ingegnosamente un prodotto televisivo derivato dai fumetti, con espedienti narrativi ripresi dai fumetti stessi. Oltretutto, l’origine cartacea dei personaggi e dello scenario non viene mai ridimensionata, anche quando la sceneggiatura sembra volersi fare beffe dei fan. Ci stiamo riferendo, naturalmente, all’inaspettata comparsa di Evan Peters nel finale del quinto episodio, che oltre a rappresentare uno dei cliffhanger più riusciti degli ultimi anni, ha sovraeccitato per qualche settimana la discussione dei blogger, illusi di aver finalmente intuito la strategia dei Marvel Studios per l’inserimento dei mutanti nel loro universo cinematografico. Confessiamo di essere tra quelli che sono cascati nel tranello, ma bisogna riconoscere che la bonaria presa in giro degli autori è stata messa a punto con grande abilità, potendo contare anche sull’hype generato qualche mese fa dal subdolo trailer di Morbius (dove nel finale compare misteriosamente Michael Keaton) e dal recente annuncio che nel prossimo film di Spider-Man ci saranno anche Alfred Molina e Jamie Foxx (già Dottor Octopus ed Electro, nelle due precedenti incarnazioni su grande schermo dell’alter ego di Peter Parker). E sempre con l’obiettivo di rispettare i comic book che l’hanno ispirata, WandaVision è una serie stracolma di citazioni fumettistiche. Si è parlato di House of M o della miniserie Vision di Tom King e Gabriel Hernandez Walta, ma, nella realtà, la Schaeffer ha attinto a tutti i passaggi fondamentali della storia dei due personaggi, tanto che le saghe di cui risultano più riconoscibili i richiami sono la fondamentale Vision Quest di John Byrne (da cui proviene anche il sintezoide bianco che si vede negli episodi finali) e la maxiserie Scarlet Witch, in cui James Robinson ha contribuito a ridefinire le origini della protagonista. Senza dimenticare i pittoreschi costumi indossati da Wanda, Visione e Quicksilver durante la Bronze Age, omaggiati dagli autori in maniera molto spiritosa. 

Purtroppo, non è tutto oro quello che luccica, e nonostante i tanti pregi fin qui elencati, WandaVision non è esente da difetti. Il primo e più importante riguarda l’inserimento di comprimari molto poco in sintonia con la spirito della serie. Capiamo la volontà di mantenere viva la continuity all’interno del MCU, ma c’era davvero bisogno di coinvolgere due personaggi come Jimmy Woo e Darcy Lewis, impiegati, fino a questo momento, in intermezzi decisamente più comici, che, nella trama elaborata dalla Schaeffer – parentesi sitcom a parte – sono sembrati delle evidenti forzature?

Inoltre, inutile negare che la parte più debole dello show sia rappresentata dai passaggi più propriamente supereroistici, portati avanti in maniera un po’ troppo convenzionale e penalizzati dall’assenza di un villain di peso. 

Tutto questo, però, non sminuisce il lavoro della produzione, a cui va anche riconosciuto il merito di aver saputo sfruttare nel migliore dei modi l’ottimo feeling instauratosi tra Elizabeth Olsen e Paul Bettany, capaci di umanizzare ancora di più i loro personaggi e di rendere credibile l’impossibile relazione tra un essere di carne e ossa e un androide.   

Rimandata, invece, per ora, Teyonah Parris, in attesa di rivedere Monica Rambeau in Capitan Marvel 2 (chissà che nome di battaglia assumerà nel MCU? È forse la super-eroina ad aver usato più alias nella storia del fumetto americano. Attualmente si fa chiamare Spectrum, ma è stata anche Photon, Pulsar e, all’inizio della sua “carriera”, persino Capitan Marvel).

Alla fine, WandaVision resta un’operazione originale e coraggiosa, assolutamente impraticabile in un blockbuster hollywoodiano, eppure accolta da un successo di pubblico travolgente. Un risultato probabilmente inaspettato, ma che lascia presagire un futuro televisivo quanto mai roseo per i Marvel Studios.

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