Per cercare di bloccare l’Apocalisse, Numero Cinque (Aidan Gallagher) torna indietro nel tempo, portando con sé anche i suoi fratelli. Giunto nel 1963, tuttavia, scopre che Vanya (Ellen Page) e gli altri sono arrivati nel passato in momenti diversi e li trova intenti a combattere contro l’esercito sovietico, in quella che sembra, a tutti gli effetti, la vigilia di una nuova Apocalisse.

Nazione: Stati Uniti
Anno: 2020
Episodi: 10
Piattaforma: Netflix
Genere: Fantascienza, supereroi, drammatico
Ideatore: Steve Blackman
Attori: Ellen Page, Tom Hopper, David Castañeda, Emmy Raver-Lampman, Robert Sheehan, Aidan Gallagher

Dopo l’inaspettato exploit della prima stagione, che aveva raccolto sia giudizi lusinghieri da parte dei critici (e noi tra questi) che l’approvazione di gran parte del pubblico, all’annuncio di Netflix, nel maggio di quest’anno, dell’imminente arrivo sulla propria piattaforma dei nuovi episodi di Umbrella Academy, la speranza che Steve Blackman e i suoi collaboratori potessero riuscire ancora una volta a elaborare una vicenda appassionante, senza tradire lo spirito del fumetto originale, è cresciuta di pari passo al semplice desiderio di vedere di nuovo in azione Numero Cinque e il resto della sua sconclusionata famiglia. Operazione più complessa di quanto si immagini, considerando che il secondo capitolo dell’opera di Gerard Way e Gabriel Bá è ancora più folle, visionario e senza freni di Suite Apocalisse, saga d’esordio del gruppo, trasposta su piccolo schermo lo scorso anno. Eppure, Blackman e soci non si sono tirati indietro e, piuttosto che staccarsi in maniera definitiva dal progenitore cartaceo di Way e Bá, hanno preferito continuare a scommettere sul brillante mix di citazioni del fumetto e vicende a più lungo respiro (ideate ad hoc per la serie), che era già stata la loro carta vincente nella stagione d’esordio. Tra l’altro, persi due character di peso come Hazel e Cha Cha, che nei comic book vengono introdotti proprio nel secondo arco narrativo, mentre nella trasposizione televisiva fanno il loro esordio nei primi episodi, gli autori sono riusciti a compensarne la mancanza ricorrendo al surreale Carmichael, un personaggio troppo bizzarro per essere lasciato solo sulle pagine dei fumetti (stiamo parlando di un pesce parlante all’interno di un corpo umano robotico), e recuperando una delle loro creazioni più riuscite (molto più dei tre insipidi fratelli killer noti semplicemente come Svedesi, ideati proprio per questa seconda stagione), la gustosamente subdola The Handler, interpretata da una superlativa Kate Walsh, sempre più a suo agio nei panni di questa moderna Crudelia De Mon, cinica e manipolatrice. Dopodiché, largo spazio al melodramma, in cui è ancora la Vanya di Ellen Page la protagonista principale, che, questa volta, però, viene affiancata anche dalla Allison della brava Emmy Raver-Lampman, personaggio cardine di una sottotrama, che gli autori sfruttano abilmente per denunciare l’ignobile segregazione razziale, di cui, all’epoca (siamo nei primi anni Sessanta del Novecento), erano vittime le persone di colore negli stati americani del sud. Il tema potrà sembrare ad alcuni un po’ inflazionato, ma i recenti avvenimenti negli USA dimostrano che, nonostante i notevoli passi in avanti degli ultimi anni, il problema della convivenza tra bianchi e neri è ancora lungi dall’essere risolto. A questo proposito, abbiamo trovato assolutamente fuori luogo le polemiche che hanno accompagnato la decisione di molti studi hollywoodiani di affidare ad attori afroamericani parti importanti di alcune produzioni in corso (una su tutte, la scelta di Yara Shahidi come nuova Trilli, nell’imminente versione dal vivo di Peter Pan per la Disney), che testimoniano come nel superficiale pensiero geek, il rigore filologico di un’opera di fantasia venga considerato più importante delle discriminazioni del mondo reale. Tra l’altro, proprio l’ingresso della Raver-Lampman nel cast avrebbe già dovuto far capire in che direzione si stava andando (il personaggio nei fumetti, infatti, non è una ragazza di colore). Se questi passaggi, a cui bisogna almeno aggiungere quelli che vedono come protagonisti Diego e la new entry Lila (molto meno sentimentali e decisamente più avventurosi, ma comunque più strutturati rispetto a quelli dedicati a Luther e Klaus), costituiscono la parte più importante dell’intera vicenda (e sono tutti farina del sacco di Blackman e degli altri membri del team creativo), non sono affatto da trascurare le scene, che, invece, richiamano apertamente la storia orchestrata da Way e Bá. Qui è Cinque a fare la parte del leone (sempre interpretato dall’ottimo Aidan Gallagher), in una divertente mescolanza di black comedy, fantapolitica, paradossi temporali e sfoggio di superpoteri, i cui toni, per quanto distanti dagli avvenimenti legati agli altri protagonisti, si incastrano a meraviglia con il resto della trama, arrivando a renderla anche più appetibile per chi si è avvicinato alla trasposizione dal vivo sperando di ritrovare in essa le stesse suggestioni del fumetto.

Come si suol dire, però, non tutte le ciambelle riescono col buco, quindi, nonostante le molte qualità messe in mostra, la serie non è esente da qualche scivolone. A parte il peccato veniale di voler insistere a tutti i costi con l’inserimento di un ombrello nei titoli di testa (giochino registico originale nei primi episodi, che qui, tuttavia, comincia a diventare un po’ stucchevole), il problema principale è il parziale stravolgimento di alcuni protagonisti. L’esempio più clamoroso è Diego, quasi una copia sbiadita del personaggio che avevamo apprezzato nella stagione passata. A essere onesti, anche David Castañeda, l’attore che lo impersona, ci è sembrato spesso svogliato o persino poco in parte, ma di sicuro lo sciatto copione assegnatogli non lo ha aiutato a migliorare la sua performance. Altro parziale passo falso è Klaus, del quale viene fatto emergere solo l’aspetto più folkloristico, senza accennare mai ai tormenti derivanti dal suo potere (che, fantasma del fratello defunto a parte, praticamente non si vede mai). La sottotrama amorosa che lo riguarda, inoltre, è probabilmente anche quella narrativamente più debole e banale. Infine, ci sarebbero da sottolineare in negativo le molte incongruenze riguardanti la già citata Lila, ma così facendo, rischieremmo di far passare come fondamentali dei difetti che, in tutta onestà, non alterano più di tanto l’alto livello della stagione, la quale, nel finale, sfrutta ancora una volta in maniera sapiente il tema dei paradossi temporali, introducendo uno scenario forse non così originale, ma sufficiente a far salire alle stelle l’hype del pubblico per il seguito della serie, per nulla attenuatosi nonostante Netflix, forse a causa della pandemia, non lo abbia ancora ufficializzato

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