L’astronauta Emma Green (Hilary Swank) è al comando di una missione internazionale che ha come obiettivo lo sbarco dell’uomo su Marte. Dopo un maldestro tentativo di risolvere un incidente a bordo del razzo diretto verso il pianeta, parte dell’equipaggio comincia a dubitare delle sue capacità. Nel frattempo, le traversie della sua famiglia fanno emergere in lei dubbi e rimpianti per aver intrapreso un viaggio così lungo e pericoloso.
Nazione: Stati Uniti
Anno: 2020
Episodi: 10
Piattaforma: Netflix
Genere: Fantascienza, drammatico
Ideatore: Andrew Hinderaker
Attori: Hilary Swank, Talitha Bateman, Josh Charles, Ato Essandoh
Da quando Elon Musk ha deciso di fare sul serio con la sua SpaceX, sfruttando anche la rivalità tra Usa e Cina, che ha innescato una nuova corsa allo spazio, lo sbarco dell’uomo su Marte non è mai sembrato così vicino a realizzarsi per davvero. Pertanto, era solo questione di tempo prima che i colossi dell’entertainment cominciassero a interessarsi a un argomento tanto accattivante per i loro spettatori. E dopo un primo tentativo a metà tra il documentario e la fiction (la poco fortunata Mars prodotta da National Geographic), ecco che a scendere in campo è arrivata Netflix con Away, una produzione ad alto budget, che vanta pure un nome altisonante come Hilary Swank nei panni della protagonista. La serie è stata creata da Andrew Hinderaker, noto per essere stato uno degli sceneggiatori di Penny Dreadful, e annovera tra i suoi produttori esecutivi il veterano Edward Zwick (che ha diretto film come Glory e L’ultimo samurai) e Matt Reeves, regista del prossimo Batman. Insomma, diversi elementi che lasciavano presagire un’operazione di un certo spessore e una nuova potenziale hit della piattaforma californiana. Tuttavia, come purtroppo spesso succede, il risultato finale non è stato all’altezza delle aspettative, anche se le mancanze della serie sembrano imputabili più ai diktat di Netflix che a reali colpe degli autori. Il primo e più evidente problema, infatti, è quello della durata eccessiva, che nel caso di Away diventa addirittura sproporzionata rispetto a quello che ci sarebbe stato realmente da dire. Non è la prima volta che le produzioni del colosso americano soffrono di questo difetto, ma speravamo che la ricerca insistente della fidelizzazione del pubblico potesse essere indirizzata, prima o poi, verso la produzione di opere di qualità (come fa da sempre HBO), non perseverando con un’inutile prolissità della trama. È vero che andare su Marte non è un’impresa da poco, così come non possiamo aspettarci la totale assenza di escamotage necessari a mantenere viva l’attenzione dello spettatore, ma il numero di contrattempi ed episodi sfortunati a cui quasi tutti vanno incontro è veramente esagerato, tanto che il pubblico si sente quasi autorizzato a seguire con maggiore interesse gli intrecci sentimentali e le vicende personali dei vari personaggi, piuttosto che le imprese spaziali dei cinque astronauti. Per di più, alcuni passaggi evocano palesemente il film di Ron Howard Apollo 13 e pur non volendo accusare gli autori di plagio, è evidente che Hinderaker e soci abbiano fatto fatica a trovare un numero di idee originali tale da permettergli di arrivare all’epilogo, senza mostrare il fiato corto. Per di più, esiste una differenza fondamentale tra le due opere, che rendono queste somiglianze ancora più discutibili. Le peripezie dell’equipaggio capitanato da Tom Hanks, nella pellicola del 1995, infatti, erano la versione romanzata di avvenimenti reali, quindi anche le soluzioni escogitate a bordo del razzo o dal centro di controllo di Houston, non apparivano mai fantasiose o inverosimili, ma piuttosto sorprendenti per la velocità con cui i vari esperti riuscivano a elaborarle, nonostante i pochi mezzi a disposizione e le scarne informazioni a cui avevano accesso. In Away, invece, succede esattamente il contrario, perché se già l’eccesso di insidie e di imprevisti appare una visibile forzatura, ancora di più lo sono gli espedienti utilizzati per venirne fuori, con il risultato di creare un forte contrasto tra il realismo delle vicende sulla Terra e quelle un po’ troppo fantasiose ambientate nello spazio. Ciò nonostante, a dispetto di queste innegabili pecche, la serie rimane piacevole, soprattutto per merito dell’ottimo lavoro fatto con la sceneggiatura. D’altra parte, Hinderaker viene considerato dagli addetti ai lavori più un drammaturgo, che un vero autore televisivo. Ma anche altri suoi collaboratori (ci riferiamo, in particolare, a Jessica Goldberg e ad Aditi Brennan Kapil) vengono dal teatro, e questa loro esperienza pregressa diventa, alla fine, fondamentale nella caratterizzazione dei vari personaggi, nessuno anonimo o banale, neppure nei passaggi più scontati della trama. Anzi, se vogliamo, questi meriti dell’opera sembrano confermare i difetti di cui dicevamo sopra: l’approccio con cui gli autori si avvicinano alle normali relazioni interpersonali dei personaggi o l’assoluta naturalezza dei dialoghi, infatti, sono tanto spontanei quanto, invece, risultano artificiose le vicende a bordo del razzo verso Marte.
Poi, naturalmente, ci sono gli attori e senza perdere troppo tempo a sottolineare ancora una volta la bravura di Hilary Swank, è giusto, piuttosto, mettere in evidenza le interpretazioni del resto del cast, tutte ben oltre la media, sebbene sia la prova della giovane Talitha Bateman ad averci particolarmente colpiti, soprattutto per la disinvoltura con cui è riuscita a calarsi nella parte di un’adolescente divisa tra due sentimenti contrapposti verso la propria madre: uno di sincera fierezza, come è normale che sia, l’altro di ostilità per averla lasciata sola a decidere su alcuni passaggi fondamentali della sua vita.
A tutt’oggi, non sappiamo ancora se ci sarà una seconda stagione, tuttavia, se questa si farà, ci aspettiamo che autori e produzione invertano decisamente la rotta. Nonostante le grandi capacità affabulatorie di Hinderaker e dei suoi collaboratori, infatti, non crediamo che il nuovo scenario possa fornire un materiale narrativo tale da mantenere la serie interessante per altri dieci episodi. Senza contare, inoltre, il serio rischio di passare dagli “omaggi” ad Apollo 13 a quelli per The Martian.
VOTO FILMANTROPO:
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