Una catastrofe ambientale ha reso la Terra un pianeta inabitabile, costringendo gli ultimi sopravvissuti a fuggire dai pochi rifugi ancora rimasti nell’Artide. Augustine Lofthouse (George Clooney) decide, tuttavia, di non partire, in quanto malato terminale. Cercherà di mettersi in contatto con la nave spaziale Aether, di ritorno da una luna di Giove simile alla Terra, per avvertirli di tornare indietro.
Nazione: Stati Uniti
Anno: 2020
Genere: Drammatico, fantascienza, thriller
Regista: George Clooney
Durata: 118 min
Attori: George Clooney, Felicity Jones, David Oyelowo, Kyle Chandler, Demián Bichir
Piattaforma: Netflix
Scorrendo la filmografia di George Clooney, è possibile notare come, nella sua quasi ventennale carriera da regista, egli abbia spesso mostrato una particolare propensione a portare sullo schermo storie che, pur nella loro semplicità, riuscissero a rendere espliciti i suoi ideali o il suo orientamento politico, oppure che gli permettessero di cimentarsi in una personale reinterpretazione dei classici hollywoodiani. Alla prima categoria appartengono le sue opere migliori, tra le quali vale la pena citare almeno Good Night, and Good Luck e Le idi di marzo. Mentre nella seconda, per contro, troviamo i suoi lavori meno riusciti, per esempio la screwball comedy In amore niente regole e il war movie dal gusto rétro Monuments Men. Con la sua ultima fatica (The Midnight Sky, tratto dal romanzo La distanza tra le stelle di Lily Brooks-Dalton e reso disponibile da Netflix durante le feste natalizie), l’attore-regista ha, però, dato l’impressione di voler provare a combinare entrambe le tendenze. La trama, infatti, si divide su due scenari: nel primo abbiamo un pianeta Terra devastato da una catastrofe ignota, ma sicuramente riconducibile a un errore dell’uomo, che, in qualche modo, richiama le cause ambientaliste tanto care ai liberal americani e, quindi, di riflesso, a Clooney stesso. Nel secondo, invece, assistiamo alle fasi finali di una missione spaziale all’interno del Sistema Solare, in cui, purtroppo, abbondano i cliché di quella sorta di sottogenere della fantascienza, diventato molto popolare negli ultimi anni (e a cui appartiene anche la recente serie Away), in cui gli astronauti devono vedersela con disavventure di ogni tipo. Se la pellicola avesse altre aspirazioni, questa caratteristica di per sé non sarebbe un difetto, ma viste le premesse, l’approccio differente con cui l’autore americano affronta le due vicende narrate in parallelo determina, alla fine, un amalgama imperfetto. In più, alcuni momenti cardine del film lasciano nello spettatore una forte sensazione di già visto, soprattutto quelli ambientati nello spazio, che paiono ripresi pari pari da Gravity di Alfonso Cuarón (dove, oltretutto, il nostro George era uno dei protagonisti), mentre altri passaggi particolarmente drammatici sembrano essere un semplice espediente per tenere viva l’attenzione del pubblico. Il sospetto è che Clooney abbia voluto lanciarsi in un’impresa molto difficile: realizzare un’opera autoriale, senza, però, uscire dai canoni del film di genere. Un’evidente contraddizione che crea l’inevitabile disarmonia tra la narrazione principale, calibrata su tempi dilatati e intervallata da flashback volutamente non risolutivi, e gli intermezzi a bordo della nave spaziale, aggiunti solo per dare al pubblico quello che, in teoria, si aspetterebbe di trovare in un’opera fantascientifica, ma senza preoccuparsi – colpevolmente – della loro scarsa originalità. E che l’attore americano fosse maggiormente interessato alle scene “terrestri” è dimostrato dal ruolo che ritaglia per sé stesso, molto lontano da quelli a cui ci ha abituati, quasi come a voler sminuire il suo status di divo hollywoodiano. Ciononostante, Clooney si dimostra un regista solido (soprattutto nell’evitare che gli effetti speciali diventino troppo invasivi) e molto bravo nella direzione degli attori, ai quali impone una recitazione controllata e parzialmente dimessa, necessaria a raffreddare l’emotività anche nei momenti più tragici. Tuttavia, nel suo tentativo di rendere tangibile la profonda solitudine del protagonista, tende spesso a mantenere l’atmosfera della pellicola eccessivamente algida, quasi come se il gelo polare o l’assoluto silenzio del vuoto spaziale rappresentassero una metafora dell’anima del suo personaggio. Così facendo, però, a dispetto dei momenti drammatici di cui abbiamo detto, il film ha la sua unica vera scossa emozionale solo nell’imprevedibile finale, il quale, in più, fa anche assumere alla vicenda un significato completamente diverso, toccando tematiche (i rimpianti di una vita che volge al termine, il desiderio di riscatto per dare un senso alla propria esistenza) che avrebbero potuto essere tranquillamente affrontate con scenari meno ambiziosi.
A ogni modo, nonostante la parziale sensazione di incompiutezza, il nostro giudizio sulla pellicola non può essere negativo. La professionalità messa in campo da cast e produzione non è poca, tanto da permettere a Midnight Sky di elevarsi al di sopra di buona parte di quello che l’enorme calderone dello streaming è in grado di offrire in questo momento.
Ora, però, spetta a Clooney ripagare la nostra fiducia, perché al prossimo passo falso la nostra valutazione sarà sicuramente più severa.
VOTO FILMANTROPO
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