La dirompenza con cui il titolo di Rockstar Games si è abbattuto sul mercato videoludico è un qualcosa di memorabile. Red Dead Redemption 2 è difatti riuscito a scuotere le fondamenta di un genere intero, quello degli open world, ormai arenatosi da una decina di anni a questa parte su standard e punti fermi inamovibili. Un’opera dal valore produttivo titanico se si pensa a linee di dialogo, attori coinvolti nel mocap e nel doppiaggio, oltre alla colonna sonora da colossal western e la magnificenza dell’impianto ludico narrativo. Una “presunzione” giustificata, vista la vera e propria latitanza di Rockstar dai riflettori di stampa ed eventi che bisogna addirittura ricercare ai tempi del lancio di GTA V su PS3 prima (2013) e su PS4 dopo (2014).

La grande R, dopo il lancio di Red Dead Redemption nel 2010, ha iniziato i lavori sul sequel/prequel compiendo un vero e proprio miracolo. Riuscire a superarsi con un’opera che, non solo si accontenta del famoso “bigger and better”ma che altresì traccia un vero e proprio metro di paragone, come profondità ed immedesimazione, in quella che probabilmente è l’opera magna che meglio racchiude le brutalità ed il cinismo di un immaginario mai troppo esplorato o approfondito nel mondo dei videogiochi. Il vecchio West viene quindi messo in scena da un racconto che si va ad innestare sui rapporti umani, al quale il setting aggiunge un ulteriore valenza dati i numerosi cambiamenti che stavano scuotendo la società americana di fine Ottocento.

Il titolo si palesa con gli stilemi tipici di un classico open world. La mappa sconfinata dalle numerose attività però tradisce ad uno sguardo superficiale che sia la quantità a prevalere sulla qualità. Ebbene è qui che Rockstar ha rimarcato con forza quanto siano superiori in questo. La maestria della casa di sviluppo emerge dall’incredibile varietà e profondità offertaci dal free roaming. Che sia all’inizio o dopo 50 ore di gioco, Red Dead Redemption 2 trova sempre il modo di superare le aspettative. Gli incontri casuali e le missioni secondarie vanno ad amalgamarsi in maniera così naturale con quello che sarà l’incedere nell’avventura del nostro protagonista che non sembrerà mai di affrontare un fastidioso di più. Starà tutto a discrezione del giocatore nel saper esplorare e ricercare tutte le minuziosità inserite nelle regioni in cui è suddivisa la mappa, riempendola così di vere e proprie annotazioni inerenti alle scoperte fatte. Quello che svetta quindi, a differenza del precursore, è la costante evoluzione del mondo di gioco e delle sue numerose variabili. Il titolo non innova, bensì porta ad un altro livello ciò che già funziona con una ricercatezza per l’approfondimento dei dettagli visto in pochi esponenti del settore (non ultimo

Zelda, da cui prende in prestito alcune dinamiche legate alla gestione del personaggio riprendendo quanto fatto in misura minore anche in GTA San Andreas sempre della stessa Rockstar).

RDR non ha paura di prendersi del tempo per farsi comprendere appieno, tempo durante cui è possibile rendersi conto di come il mondo dei videogiochi sia sempre più prossimo a compiere un salto di qualità netto. L’esperienza maturata dalla SH dei fratelli Houser è tutta racchiusa nell’esponente massimo, il videogioco che più di tutti (in questi ultimi anni) merita di essere considerato una vera e propria forma d’arte. Un compendio, un racconto, un ode, un vero e proprio omaggio a ciò che è sempre stata la frontiera selvaggia ed una dichiarazione d’intenti piuttosto chiara. Chiunque voglia fare come Rockstar dovrà iniziare a darsi da fare visto che la strada tracciata è lunga ed impervia. Una simile pietra miliare non è merito soltanto del valore produttivo. RDR 2 ha difatti visto confluire su di sé una tale autorevolezza autoriale che le imprecisioni vanno a scemare, così come alcune polemiche sterili nate nei giorni successivi al lancio.

Un percorso produttivo del genere serve a far riflettere su quanto sia ancora la compattezza di uno studio e la possibilità di cambiare, anche quando si hanno le possibilità ed i mezzi, a fare la differenza. A patto che a volerlo siano anche i videogiocatori.

 

 

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