In un lontano futuro, la galassia è governata dall’Imperium. Per contrastare la crescente popolarità del Duca Leto Atreides (Jason Isaacs), l’imperatore Padishah Shaddam IV affida a lui e alla sua casata il controllo di Arrakis (un pianeta desertico da cui si ricava la “spezia”, la sostanza più preziosa dell’universo), togliendolo agli Harkonnen. Nei piani del sovrano, l’inevitabile scontro che ne seguirà, determinerà un indebolimento delle due famiglie e, di conseguenza, il rafforzamento del suo potere.

Nazione: Stati Uniti
Anno: 2021
Genere: Avventura, fantascienza, drammatico
Regista: Denis Villeneuve
Durata: 155 min
Attori: Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Dave Bautista, Zendaya

Aldilà delle inevitabili differenze di opinione sui suoi meriti artistici, tutti dovrebbero riconoscere a Denis Villeneuve di possedere almeno una buona dose di sfrontatezza, che nell’ambiente cinematografico sembra essere diventata una qualità fondamentale per chi vuole investire su progetti ad alto rischio. E così, dopo aver accettato di imbarcarsi in una sfida molto azzardata come quella di tornare a raccontare il mondo di Blade Runner, ritroviamo il regista canadese a tentare la sorte in un’operazione forse ancora più difficile, come il nuovo adattamento del ciclo di Dune, celebre monumento della sci-fi letteraria, su cui anche un maestro come David Lynch ha quasi rischiato l’osso del collo. A differenza del seguito del capolavoro di Ridley Scott, però, dove l’ansia del filmmaker nordamericano di non sfigurare di fronte all’illustre collega aveva prodotto una pellicola anonima e con uno stile visionario troppo simile a quello del lungometraggio originale, l’approccio all’opera di Frank Herbert ci è sembrato meno ossequioso (anche se per nulla irriverente) e più nelle sue corde. Chi ricorda il Villeneuve di Arrival (probabilmente il suo film più riuscito) non farà fatica a intravedere in Dune un’impronta registica molto simile e la voglia di privilegiare tematiche diverse da quelle che ci si aspetterebbe di trovare in una pellicola di genere (in questo caso, tuttavia, è lo stesso romanzo a venirgli incontro, essendo questo caratterizzato da un utilizzo della fantascienza fuori dagli schemi, in cui abbondano misticismi di vario tipo, un forte fervore ecologico e una visione manichea del futuro dell’uomo). Chi si aspetta una space opera vera e propria, infatti, o una sorta di versione tecnologica del Trono di Spade (un’illusione che la rivalità tra Harkonnen e Atreides potrebbe effettivamente ingenerare) rischia di rimanere deluso. Senza considerare che, per evitare di ripetere l’errore di Dino De Laurentiis, che nel 1984 impose a Lynch di condensare in un unico film le oltre settecento pagine del romanzo (con la conseguenza di rendere la pellicola confusa e di difficile comprensione), Villeneuve si prende tutto il tempo necessario, immaginando da subito la sua trasposizione cinematografica come un lungometraggio diviso in due parti (negli USA, oltretutto, si è correttamente cercato di evitare ogni malinteso con il pubblico intitolando il film Dune: Chapter One). Il buon Denis, pertanto, interpreta la pellicola esattamente per quello che è, un’introduzione all’universo di Dune e ai suoi protagonisti, e lo fa portando sullo schermo solo lo stretto necessario a inquadrare la vicenda, in attesa di entrare nel vivo con il secondo capitolo. Al regista si può forse rimproverare di aver preso un po’ troppo alla lettera questo assunto, tanto che la drammaticità degli eventi viene smorzata in maniera eccessiva anche quando ci si attenderebbe qualche emozione in più. Questo è vero soprattutto nei duelli e nei combattimenti, francamente poco coinvolgenti. Persino gli enormi vermi delle sabbie, autentica icona del ciclo letterario, vengono mostrati con il contagocce. D’altra parte, per fare in modo che il destino messianico del protagonista venisse richiamato di continuo, la scelta di Villeneuve di affidarsi a tempi dilatati, a lunghe pause silenziose e alla forza evocativa delle immagini (ulteriormente esaltate dall’energica colonna sonora di Hans Zimmer) è apparsa l’unica davvero praticabile. Da notare come anche il gigantismo delle astronavi (un riflesso della potenza delle casate in lotta) o la presenza di mezzi e strumenti altamente sofisticati, contrasti non poco con l’apparente arretratezza dei Fremen o con la dogmatica ritualità delle Bene Gesserit. Se poi a questo aggiungiamo che la malvagità degli Harkonnen viene costantemente rafforzata dai colori dark degli ambienti e dei costumi, e da rapporti interpersonali tipici di una società tribale, si intuisce come l’autore canadese abbia voluto richiamare la scrittura di Herbert replicandone il più possibile il forte messaggio simbolico, invece di insistere sull’ambientazione fantascientifica del libro.

Per quanto riguarda gli attori, sebbene per alcuni come Zendaya e Javier Bardem un giudizio risulterebbe quantomeno prematuro, vista la scarsa presenza di entrambi nella trama, per gran parte del cast, si può, invece, affermare che le scelte di produttori e regista sembrano essersi dimostrate azzeccate, a cominciare da Timothée Chalamet, bravo a mettere in risalto le incertezze e le esitazioni del giovane personaggio che interpreta, ma anche a far intravedere quella determinazione che porterà alla sua progressiva trasformazione nel Kwisatz Haderach delle profezie. Inoltre, Stellan Skarsgård è inquietante quanto basta da non lasciare dubbi sulla crudeltà del Barone Harkonnen (benché un po’ attenuata rispetto ai romanzi) e Jason Isaacs riesce a trasmettere tutta la fierezza e la nobiltà del Duca Atreides. Buoni tutti gli altri, compresi il sorprendente Dave Bautista e il vituperato Jason Momoa (chissà perché preso di mira da molti recensori), il quale, grazie al fatto di non dover ridurre per l’ennesima volta la sua interpretazione a una mera messa in mostra del suo fisico possente, se la cava piuttosto bene.

Pur non avendo particolarmente brillato al botteghino, i 300 milioni di dollari raccolti finora dal film hanno convinto la Warner Bros. a mettere in cantiere il secondo capitolo. La notizia farà felici gli appassionati (e anche chi, come noi, vuole vedere se Villeneuve sarà veramente capace di realizzare quanto ha promesso), ma la decisione della major ci sembra più che altro un’operazione di facciata. Cancellare il seguito di Dune, dopo i proclami iniziali e l’enorme sfoggio di mezzi messo in campo, rappresenterebbe una pessima figura, che la Warner in questo momento non può di certo permettersi, se non vuole perdere ulteriore terreno nei confronti dell’inarrestabile corazzata Disney.

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