Alla ricerca della sorella scomparsa, il ladro Cassian Andor (Diego Luna) si reca sul remoto pianeta Morlana Uno. Qui ha un alterco con due agenti e, nella colluttazione che ne segue, questi rimangono uccisi. Cassian torna, quindi, su Ferrix, dove vive con la madre adottiva Maarva (Fiona Shaw) e convince l’amica Bix (Adria Arjona) a contattare un acquirente del mercato nero, per vendere una preziosa unità Starpath e ottenere i crediti necessari a fuggire.

Nazione: Stati Uniti
Anno: 2022
Genere: Azione, fantascienza
Piattaforma: Disney+
Episodi: 12
Ideatore: Jessica Gao
Attori: Diego Luna, Stellan Skarsgård, Adria Arjona, Fiona Shaw

Ebbene sì, ecco finalmente un prodotto degno di far parte a pieno titolo dell’immaginario lucasiano e che, contemporaneamente, attesta una volta per tutte (ma sul serio ce n’era la necessità?) l’enorme potenziale di un materiale narrativo che, almeno fino a questo momento, Kathleen Kennedy e soci si erano dimostrati incapaci di sfruttare a dovere. A qualcuno il nostro entusiasmo potrà sembrare un po’ eccessivo. Noi crediamo, invece, che sia proprio il caso di metterci tutta l’enfasi possibile. In particolare, perché, dopo il deludente The Book of Boba Fett e l’imperdonabile spreco di un personaggio come Obi One Kenobi (senza dimenticare le critiche che abbiamo riservato al – francamente – sopravvalutato The Mandalorian), nutrivamo poche speranze che Andor potesse segnare un significativo cambio di rotta per la serialità televisiva di Star Wars. Forse avremmo dovuto fidarci di più di Tony Gilroy, già sceneggiatore dei primi tre film di Jason Bourne (oltreché scrittore e regista dello spin-off The Bourne Legacy) e – in coppia con Chris Weitz – proprio di Rogue One, la pellicola dove ha esordito Cassian Andor, ma visti i precedenti, era difficile credere che l’autore statunitense potesse davvero convincere la produzione a lasciare per una volta la nostalgia sullo sfondo e a offrire uno sguardo molto diverso della galassia lontana lontana. E invece, alla fine dobbiamo persino ammettere che se nei dodici episodi che compongono questa stagione non ci fossero le architetture futuriste di Coruscant, gli Stormtrooper e i soliti droidi un po’ buffi, faremmo quasi fatica a capire di trovarci nello stesso mondo di Jedi e Sith.

Naturalmente, il fatto che Cassian Andor non sia un protagonista di primo piano dell’Universo di Star Wars ha aiutato in maniera determinante Gilroy e i suoi collaboratori a ottenere il via libera alla serie. Ma se questo è il (piccolissimo) prezzo da pagare in cambio di trame articolate, personaggi tridimensionali e sceneggiature di qualità, allora ben vengano altri character semi-sconosciuti o addirittura mai menzionati nei film e nei numerosissimi prodotti multimediali che ne sono seguiti. Ovviamente, nessuno chiede di mettere in naftalina Luke Skywalker, Han Solo e compagnia, purché essi – come purtroppo è stato finora – non diventino un impedimento alla riuscita di un nuovo progetto cinematografico o televisivo (evidentemente, l’alone leggendario che avvolge questi personaggi è ancora così grande da indurre anche autori maturi ed esperti a rifugiarsi in scelte scontate e poco coraggiose).

Oltretutto, guardando più nello specifico alla serie in questione, Gilroy e gli altri suoi sceneggiatori (tra cui vale la pena citare almeno Beau Willimon, showrunner delle prime quattro stagioni di House of Cards) non hanno fatto altro che “estremizzare” quanto si era già intravisto in Rogue One, sottolineando in maniera inequivocabile che ribellarsi contro un potere totalitario e oppressivo (mai l’Impero era stato così chiaramente accostato agli spietati regimi dittatoriali del mondo reale) non reca in sé nessuna gloria, ma solo morti ed enormi sacrifici, oppure rimarcando, senza troppi giri di parole, come l’eroismo spesso nasconda decisioni controverse, ambiguità di ogni tipo e compromessi apparentemente inaccettabili.

Ecco, quindi, che lo sfrigolio delle spade laser e gli spettacolari combattimenti nello spazio (questi ultimi, comunque, non del tutto assenti) vengono sostituiti da intrighi politici, prigioni asettiche, torture raccapriccianti, doppiogiochismo a profusione e così tanta opacità (che, incredibile a dirsi, riguarda in particolare i “buoni”), da spingere alcuni seguaci duri e puri del sacro verbo della Forza a gridare all’eresia (il che – se ancora non fosse chiaro – per noi è un merito, non un difetto).

Ciononostante, benché rivoluzionario nel suo approccio alla mitologia jediana, Andor non vuole essere un corpo estraneo a essa, tanto che il seme della speranza, tenuto inizialmente ben nascosto dalla direzione asciutta e misurata – oltreché alquanto snervante in alcuni passaggi (detenzione del protagonista in primis) – della squadra di registi capeggiata da Toby Haynes, viene fatto fiorire nei minuti conclusivi, quando le emozioni si riaccendono e un po’ di retorica (fino a quel momento quasi impercettibile) comincia a fare capolino nel racconto, contrassegnando inevitabilmente le azioni dei ribelli.

Fondamentale alla riuscita della serie il contributo del cast, dove oltre a un ineccepibile Diego Luna (che naturalmente ritorna nei panni di Cassian) troviamo pure una Genevieve O’Reilly sorprendentemente a suo agio nel riprendere il ruolo di Mon Mothma (sebbene più fredda e calcolatrice che nelle sue apparizioni precedenti) e new entry di lusso come Andy Serkis e Stellan Skarsgård. Senza sottovalutare i tantissimi comprimari, tra cui spiccano l’ottima Fiona Shaw e Forest Whitaker (quest’ultimo ancora poco utilizzato, ma del quale immaginiamo una presenza più importante nella seconda stagione).

Nota conclusiva a margine: non perdete la scena extra nei titoli di coda dell’episodio finale. Si tratta forse dell’unica vera concessione ai fan, che, tuttavia, dimostra anche come sia possibile omaggiare con rispetto l’opera capostipite, senza dover necessariamente rinunciare a una visione alternativa della stessa. 

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