Nazione: Stati Uniti
Anno: 2019
Episodi: 8
Piattaforma: Sky Atlantic, Hbo
Genere: Drammatico, poliziesco, thriller
Produttori: Nic Pizzolatto
Attori: Mahershala Ali, Stephen Dorff, Carmen Ejogo, Scoot McNairy, Ray Fisher
Voto Filmantropo:

Nel 1980, in una piccola cittadina dell’Arkansas, due bambini scompaiono misteriosamente, dopo essere usciti in bicicletta. I detective Wayne Hays (Mahershala Ali) e Roland West (Stephen Dorff) vengono incaricati di far luce sulla vicenda, ma il caso si dimostra più intricato del previsto. L’azione si sposta, poi, nel 1990 e nel 2015, scoprendo che molti pezzi del puzzle non sono ancora stati messi al loro posto.

True Detective è tornato, e lo ha fatto alla grande. Dopo una seconda (molto sottovalutata) stagione che aveva deluso parecchi spettatori e non pochi critici, il creatore Nic Pizzolatto decide di ritornare alle origini e ci offre, almeno all’inizio, una specie di remake della prima stagione. Anche qui abbiamo due detective che in passato avevano lavorato assieme, per poi allontanarsi. La storia si dipana, di nuovo, su differenti piani temporali (in questa stagione tre, anziché i due della prima), senza tralasciare interrogatori che sembrano proprio la fotocopia di quelli che vedevano protagonisti Matthew McConaughey e Woody Harrelson. Infine, ennesimo punto in comune, la storia parte da un mistero che coinvolge dei bambini, con tanto di bambole rituali (o almeno così sembra). In realtà Pizzolatto, citando sé stesso, pare divertirsi a giocare con il pubblico. Dalla seconda metà della stagione in poi, infatti, la trama prende tutt’altra direzione: l’autore è bravo a infittire sempre di più la nebbia che avvolge la vicenda, disseminando indizi via via più criptici e a scoprire le carte a poco a poco, e, nonostante un succedersi degli eventi di una lentezza quasi estenuante, riesce a non far mai calare la suspense, piazzando subdolamente un cliffhanger dopo l’altro alla fine di diversi episodi (e la sceneggiatura a orologeria dell’autore viene efficacemente aiutata dal lavoro di regia dell’ottimo Daniel Sakheim, oltreché di Pizzolatto stesso).

Il gioco continua anche nel finale, quando la parziale delusione per un mistero risolto in una maniera apparentemente banale, viene subito superata dall’ennesimo colpo di scena, che, pur dando un senso a tutta la stagione, ne stravolge completamente il significato. Un’abile mossa narrativa, forse non così appropriata per una detective story d’autore come questa, con annesso un forte sospetto che a Pizzolatto non interessasse tanto parlare dell’indagine, quanto piuttosto dell’umanità che gli ruotava attorno. Esaminare con più attenzione i dettagli di questa terza stagione, infatti, significa, innanzitutto, far emergere i tanti lati oscuri della provincia americana, oppure mostrare il razzismo latente, che condiziona di continuo le scelte delle persone che non appartengono all’etnia dominante, senza trascurare i magheggi dei politici, sempre pronti a sfruttare la situazione a fini elettorali, o l’enorme potere del capitale, capace di corrompere persino una madre. Tutto il cast si adopera a supportare Pizzolatto nel miglior modo possibile e, sebbene Stephen Dorff sia bravissimo nella parte del detective West (la sua performance è, probabilmente, quella che ha stupito di più, vista la carriera non proprio esaltante, almeno fino a questo momento, dell’attore californiano), con un’interpretazione solo apparentemente di maniera, ma in realtà semplicemente misurata per evitare di rubare la scena al suo partner, è Mahershala Ali a fare la parte del leone, dimostrando di essersi pienamente meritato i due Oscar vinti, entrambi come miglior attore non protagonista, e ricevuti a distanza di soli due anni l’uno dall’altro (nel 2017 per Moonlight e quest’anno per Green Book. Ali, tra l’altro, è anche il primo attore musulmano a essere stato premiato dall’Academy). La sua recitazione apparentemente poco espressiva, nasconde, in realtà, la necessità di ritrarre in maniera verosimile un personaggio tormentato, introverso, spesso incapace di comunicare le proprie emozioni. Ma se si isolano i diversi momenti della vita del protagonista, rappresentati nei tre piani temporali della trama, allora la bravura di Ali emerge in modo chiaro e netto. L’interpretazione volutamente soffocata non impedisce all’attore di colore di caratterizzare appieno il suo personaggio: impulsivo da giovane, più riflessivo in età matura, stanco ma desideroso di chiudere con le cose ancora in sospeso nella sua vita da anziano. Naturalmente l’alchimia tra Dorff e Ali non è neanche lontanamente paragonabile a quella che si era creata tra Harrelson e McConaughey, ma non è pensabile che Pizzolatto, pur essendo un narratore di razza, potesse creare un altro personaggio della caratura di Rust Cohle.

Ci piacerebbe che l’emittente HBO annunciasse presto di voler mettere in cantiere la quarta stagione della serie. Ma dopo le critiche ricevute per la seconda, fatta arrivare sul piccolo schermo forse troppo presto, crediamo che Pizzolatto e soci preferiranno lavorare in tutta calma, onde evitare di commettere di nuovo lo stesso errore. Se, poi, il risultato sarà quello ottenuto con questi nuovi episodi, allora un’attesa più lunga sarà sicuramente più facile da digerire.

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