Bologna, fine anni Sessanta. Mentre Giorgio Rosa (Elio Germano) è intento a festeggiare con amici la laurea in ingegneria appena conseguita, incontra casualmente la sua ex fidanzata Gabriella (Matilda De Angelis). Giorgio prova a riappacificarsi con lei, ma la ragazza ha altri piani per la sua vita.

Nazione: Italia
Anno: 2020
Genere: Drammatico, commedia
Regista: Sidney Sibilia
Durata: 117 min
Attori: Elio Germano, Matilda De Angelis, Leonardo Lidi, Fabrizio Bentivoglio, Luca Zingaretti
Piattaforma: Netflix

In un dicembre piuttosto generoso in termini di nuove uscite in streaming, è riuscita a ritagliarsi un posto di tutto rispetto anche una piccola chicca italiana come L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, che, durante il periodo natalizio, è persino diventata uno dei film più visti su Netflix. Merito senz’altro dell’argomento trattato, la rievocazione – molto romanzata, in verità – di come l’ingegnere romagnolo Giorgio Rosa decise di costruirsi una micronazione indipendente al largo delle coste riminesi (che finì persino per ricevere l’attenzione di ONU e Consiglio d’Europa), ma anche dell’approccio deciso dagli autori per raccontare la vicenda: una farsa briosa e leggera, che scivola spesso nella commedia e che non disdegna neppure la satira politica. Lo stesso stile che, qualche anno fa, ha permesso a Sydney Sibilia, giovane regista della pellicola, di imporsi all’attenzione del pubblico con la trilogia di Smetto quando voglio. Non tutti, a dire il vero, hanno mostrato un entusiasmo simile al nostro, dato che di critici che hanno storto il naso ce n’è stato più di uno, non solo per le tante libertà prese dagli autori rispetto alla storia reale (un paio su tutte: la costruzione della piattaforma richiese più tempo di quello impiegato nel film e nel 1968, anno d’ambientazione della pellicola, Rosa aveva già più di quarant’anni), ma anche e soprattutto per un presunto “tradimento” degli ideali che spinsero il visionario ingegnere italiano a compiere quell’impresa. Sulla prima accusa c’è ben poco da dire, nel cinema la ricostruzione poco fedele degli eventi è quasi una regola, non un’eccezione, essendo spesso vista come un ostacolo alla creatività o come un fardello narrativo. E sono davvero tanti i capolavori della Settima Arte che si fregiano dello scarso rigore “filologico” della loro trama. Merita, invece, qualche parola in più il secondo rimprovero, sicuramente meno semplice da contraddire. Qui, però, siamo dalle parti del gusto personale. A noi non è sembrata così oltraggiosa la spensieratezza con cui Sibilia ha deciso di raccontare l’eccentrica storia dell’isola, che, per quanto evochi sogni utopici di libertà, in qualche modo correlati ai contemporanei movimenti di contestazione giovanile, resta pur sempre una vicenda piuttosto stravagante. Non bisogna neanche dimenticare che, al di là dei proclami di Rosa, la piattaforma divenne in breve tempo un’attrazione turistica che, proprio perché fuori dalle acque territoriali italiane, teoricamente non avrebbe dovuto essere soggetta ad alcuna tassazione. Quindi, il dubbio che ci fossero anche interessi ben più materiali dietro la costruzione dell’isola non deve essere sottovalutato. Meglio, allora, far finta di prendere per buona la motivazione immaginata dal regista salernitano e cioè che la realizzazione della piattaforma sia stata una sorta di gigantesca dichiarazione d’amore del protagonista verso la sua ex fidanzata. Oltretutto, intermezzi romantici a parte, la sceneggiatura è meno superficiale di quanto si pensi. Gli spassosi siparietti tra Fabrizio Bentivoglio e Luca Zingaretti, per esempio, resi ancora più divertenti dagli eccessi caricaturali con cui entrambi caratterizzano i propri personaggi, rappresentano una pungente presa in giro dei governi dell’epoca, di cui non viene nascosta l’estrema e noncurante facilità con la quale i loro membri passavano da un esecutivo all’altro (e a guardare il triste spettacolo esibito dai governanti di oggi, non sembra che le cose siano cambiate di molto, nel frattempo). Inoltre, a pochi sfuggirà la frecciatina velenosa rivolta all’attualità del nostro Paese, nel passaggio in cui Maurizio, l’amico di Giorgio, dice, in maniera molto poco politically correct, di aver incolpato alcuni operai meridionali per un furto nell’azienda di suo padre (un chiaro parallelismo con la discriminazione e lo sfruttamento riservati negli ultimi anni ai migranti extracomunitari). In più, Sibilia conferma di saper gestire alla perfezione un cast a più voci, concedendo a tutti il loro momento di gloria, sebbene Elio Germano, nei panni del protagonista, sia l’indiscusso mattatore della pellicola. L’attore romano, non solo esibisce con naturalezza un accento romagnolo doc, ma dimostra di essere un interprete molto versatile, capace di passare indifferentemente da film scanzonati come questo ad altri più drammatici, senza alcuna difficoltà. 

Se ancora non lo avete visto, L’incredibile storia dell’Isola delle Rose merita sicuramente una chance, anche solo per non accodarvi a coloro che ritengono che il cinema italiano abbia da tempo esaurito le sorprese.

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