Dopo essere stato uno dei protagonisti più importanti della politica italiana, Bettino Craxi (Pierfrancesco Favino) è costretto a rifugiarsi ad Hammamet in Tunisia, in seguito alle inchieste del pool di Mani Pulite. Negli ultimi mesi della sua vita, solo i familiari più stretti restano a fargli compagnia, tra cui la devotissima figlia Anita (Livia Rossi), che sembra guardare con sospetto l’improvvisa comparsa del giovane Fausto (Luca Filippi), figlio dell’ex compagno di partito Vincenzo (Giuseppe Cederna).

Nazione: Italia
Anno: 2020
Durata: 126 min
Genere: Biografico, drammatico
Regia: Gianni Amelio
Attori: Pierfrancesco Favino, Renato Carpentieri, Claudia Gerini

A vent’anni esatti dalla morte di Bettino Craxi, tra le diverse iniziative promosse dai media, nel tentativo di ripercorrerne la parabola politica o, semplicemente, di raccontarne alcuni momenti della vita, è toccato al film di Gianni Amelio fare la parte del leone. Già il titolo, tuttavia, fa capire di non essere di fronte a un semplice biopic, ma, piuttosto, a un’amara messa in scena della fine a cui spesso sono destinati i potenti (prima che il regista calabrese decidesse di attualizzare la vicenda, infatti, la pellicola avrebbe dovuto essere incentrata sugli ultimi anni di vita di Cavour). Il film, in effetti, si occupa molto poco del Craxi politico, preferendo concentrarsi sul lato umano del protagonista e sul suo rapporto con le persone che gli stavano accanto. D’altra parte, che Amelio abbia deciso di portare avanti un approccio di questo tipo, non sorprende affatto. Chi conosce la sua filmografia sa bene che Il regista de Il ladro di bambini ha sempre preferito tenere puntata la macchina da presa sulla vita reale, sui rapporti tra le persone, sui loro sentimenti, lasciando i passaggi importanti della storia italiana contemporanea o le pesanti contraddizioni della nostra società solo sullo sfondo. Ed ecco, quindi, che il momento più alto della politica estera craxiana, la cosiddetta “crisi di Sigonella”, invece che attraverso una ricostruzione semi-documentaristica, viene fieramente rievocato dal nipotino del leader socialista, mentre gioca sulla spiaggia con i suoi soldatini. Questa scena, forse la più bella del film, è una magistrale e malinconica rappresentazione della natura effimera della memoria storica, oltreché un’aperta denuncia del vizio tutto italiano di salire immediatamente sul carro del vincitore, abbandonando senza il minimo pudore quello di chi, appena il giorno prima, veniva riconosciuto come unico rappresentante degli interessi nazionali. E per rendere ancora più esplicito il suo pensiero, Amelio inserisce un’altra scena, dove, abbandonando ogni forma di sentimentalismo, ci vengono mostrati alcuni turisti italiani scagliarsi verbalmente contro l’ex politico, dopo averlo casualmente riconosciuto (come non vedere in questi passaggi uno specchio della triste attualità politica del nostro Paese?). Questo approccio, tuttavia, se da un lato costituisce il pregio principale dell’opera, dall’altro si scontra con le intenzioni iniziali dichiarate dal regista. Emblematico, in proposito, il finale, dove gli aspetti onirici e surreali diventano così predominanti da appesantire eccessivamente la narrazione, tanto da lasciare lo spettatore alquanto dubbioso sul reale significato delle ultime scene. Ad Amelio, comunque, va riconosciuto il merito di essere riuscito a non mostrare in maniera chiara il suo giudizio su Craxi (a differenza di tanti “autorevoli” intellettuali di casa nostra, che, senza neanche averlo visto, hanno bollato il film come un tentativo di riabilitare la figura del leader socialista, pur non essendosi mai minimamente sognati di puntare l’indice contro tutte quelle produzioni italiane e internazionali, dove camorristi o criminali della peggior specie vengono ambiguamente dipinti come gli eroi di turno), ma di avere fatto trasparire il pensiero e le azioni dell’ex segretario del PSI nella maniera più obiettiva possibile, lasciando al pubblico la possibilità di trarre le proprie conclusioni. 

Considerazioni sulla regia e sulla sceneggiatura a parte, però, bisogna riconoscere che, se il film verrà ricordato, sarà soprattutto per la fenomenale prova attoriale di Pierfrancesco Favino. Aldilà dell’incredibile lavoro dei truccatori, che sono riusciti letteralmente a trasformare l’attore romano nel leader socialista (solo quando il protagonista viene inquadrato senza occhiali si riesce a intravedere parzialmente il volto di Favino), è nelle movenze, nel modo di parlare e, soprattutto, nell’utilizzo sbalorditivo della voce (quasi indistinguibile dall’originale), che il grande talento dell’attore emerge pienamente. Proprio per questo motivo, pur essendo tra quelli che hanno giustamente celebrato Joaquin Phoenix per la sua straordinaria interpretazione in Joker, o sottolineato le grandi performance di Al Pacino e Joe Pesci in The Irishman, se fossimo tra i membri dell’Academy (sebbene il film di Amelio non potrebbe gareggiare, essendo uscito nelle sale solo pochi giorni fa) nell’assegnazione per l’Oscar come miglior attore protagonista, noi voteremmo per Favino.

VOTO FILMANTROPO: 3,5/5


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