Nazione: Stati Uniti
Anno: 2018
Episodi: 8
Genere: Drammatico, giudiziario
Creata da: David E. Kelley, Jonathan Shapiro
Attori: Billy Bob Thornton, William Hurt, Maria Bello, Olivia Thirlby
Voto Filmantropo:


 

 

Dopo aver vinto la causa contro la Borns Tech, Billy McBride (Billy Bob Thornton) non appare intenzionato a tornare in un’aula di tribunale, trascorrendo gran parte del suo tempo in una camera di motel o a ubriacarsi in un bar. Sarà l’arresto ingiustificato del figlio del suo amico Oscar (Lou Diamond Phillips) a fargli cambiare idea.

 

 

Il desiderio di rivedere un personaggio come Billy McBride deve aver inconsciamente fatto credere a chi aveva adorato la prima stagione di Goliath, e in particolare la grande interpretazione di Billy Bob Thornton (valsa all’attore un secondo Golden Globe a pochi anni di distanza da quello vinto per Fargo), che fosse davvero possibile dare un seguito alla serie di David E. Kelley e Jonathan Shapiro. L’ultimo episodio, tuttavia, non aveva lasciato trame in sospeso o accenni a possibili sviluppi da poter realisticamente utilizzare per continuare a raccontare, senza particolari forzature, le vicende di McBride e dei suoi scalcagnati collaboratori: il finale aveva proprio dato l’idea che la storia fosse tutta lì. Deve essere stato probabilmente questo il motivo che ha spinto Kelley e Shapiro a rinunciare a un loro coinvolgimento diretto nell’ideazione di questa seconda stagione. Per Kelley, forse, ha pesato anche la decisione di accettare di scrivere il seguito di Big Little Lies (dopo essere già stato l’autore del magistrale script della prima stagione), un’autentica sfida persino per un grande sceneggiatore, con insidie narrative anche maggiori rispetto a un legal drama come Goliath. Non bisogna neppure dimenticare le incognite legate alla scelta della nuova squadra di attori: pensare che la produzione non sarebbe stata in grado di allestire un cast all’altezza, era un’ipotesi tutt’altro che remota, considerando che, a meno di qualche discutibile espediente della trama, che avrebbe fatto storcere il naso anche ai critici meno intransigenti, essa non avrebbe potuto più contare sull’apporto di parecchi interpreti, a cominciare da William Hurt (che con il suo luciferino Donald Cooperman aveva illuminato la prima stagione). Del tutto condivisibile, quindi, la decisione degli autori di insistere sui punti di forza ancora a loro disposizione, a cominciare da un Billy Bob Thornton in stato di grazia, di nuovo fondamentale alla riuscita dello show, supportato alla grande dalla bravissima Nina Arianda, che, ancora più che nella prima stagione, riesce con assoluta naturalezza ad alleggerire tutti i passaggi più cupi e drammatici della serie (operazione non riuscita, invece, con la bella Tania Raymonde, la cui presenza nella nuova stagione è apparsa spesso superflua). Dove, però, la produzione ha veramente osato è stato nella scelta del nuovo showrunner, il pluripremiato Clyde Phillips (Dexter, Nurse Jackie), il cui stile di scrittura non avrebbe potuto essere più lontano da quello dei due creatori dello show: Kelley e Shapiro sono due veterani di serie a sfondo legale, potendo vantare successi come Avvocati a Los Angeles, Ally McBeal, The Practice e Boston Legal, opere nelle quali i due avevano potuto mettere a frutto la loro esperienza di avvocato, una professione che entrambi avevano esercitato per diversi anni prima di intraprendere la carriera di sceneggiatore. Phillips mostra immediatamente di non trovarsi a suo agio a raccontare di cavilli giudiziari e richieste di patteggiamento, abbandonando presto l’aula di tribunale per muovere la serie in un’altra direzione. D’altra parte lo scrittore originario di Boston deve aver giustamente pensato che l’importante fosse mantenere il tema di base dello show, il cui titolo Goliath, è da intendere come una metafora dello scontro impari tra un avvocato brillante, ma caduto in disgrazia e senza i mezzi necessari per vincere (il nostro Billy McBride, novello Davide) e una potente, e apparentemente intoccabile, organizzazione (l’azienda produttrice di armi Borns Tech nella prima stagione, un cartello della droga messicano con forti legami nella politica e nell’imprenditoria di Los Angeles nella seconda). Tra l’altro il finale per nulla accomodante e, per certi versi, inaspettato rendono il lavoro di Phillips tutto sommato soddisfacente, macchiato solo da alcune scelte veramente discutibili: la morbosità e le perversioni di alcuni personaggi, che aleggiano fastidiosamente in tutti gli episodi, raggiungono il loro climax in una delle scene finali, dove ci viene mostrato il destino del cinico costruttore interpretato da Mark Duplass. Una sequenza quasi demenziale che fa il pari con l’intero settimo episodio, assolutamente insensato, quasi una parodia del resto della serie. Forse i fan di Dexter gioiranno nel vedere un omaggio tanto smaccato ad atmosfere e situazioni a metà tra il grottesco e la dark comedy, così vicine alla serie dedicata al serial killer dei serial killer. Francamente, però, esse stridono parecchio in uno show che era stato apprezzato per ben altri motivi. Per di più, se, come detto, già la prima stagione non aveva dato l’impressione di poter avere un seguito, questa sensazione è ancora più forte alla fine della seconda. Le regole dello show business, però, seguono motivazioni del tutto diverse dalla mera coerenza narrativa. Resta solo da capire se gli Amazon Studios riusciranno a sorprenderci ancora una volta, tirando fuori l’ennesimo asso dalla manica.

 

 

 

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