Nazione: Stati Uniti D’America, Regno Unito, Cina
Anno: 2019
Durata: 161 min
Genere: Horror, thriller, avventura
Regia: Quentin Tarantino
Attori: Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Margot Robbie
Voto Filmantropo:

Hollywood 1969, Dopo una carriera di successi cinematografici Rick Dalton (Leonardo di Caprio) è castretto a fare i conti con una carriera che si avvia al tramonto e con lui il suo amico-controfigura Cliff Booth (Brad Pitt).

Giunti al nono film sui dieci (ad oggi) in programma prima del suo annunciato ritiro Tarantino firma una pellicola che spiazza tutti. Il suo pubblico più fedele, addetti ai lavori, neofiti del cineasta americano. Nella sua lunga e ricca di successi carriera ci ha abituati a lavori centellinati e con una gestazione abbastanza lunga dove ha sempre preferito la qualità e la ricerca della perfezione alla quantità. E seppur con qualche lievissimo calo sui suoi standard (altissimi) si è rivelato tutto costantamente e dirompentemente vincente. Da Pulp Fiction a Le Iene fino a Kill Bill ogni pellicola ha dato risalto ad una specifica parte della sua immensa cultura cinematografica. Tarantino maestro nel dare un ordine ad una apparente anarchia filmica orgia di decine di generi, citazioni e stilemi ma sapientemente miscelati con un trait d’union unico ed una firma inconfondibile. O lo si ama o lo si odia, lo avrete sicuramente letto almeno una volta nella valanga di recensioni sparse nel web. Quel suo gusto unico nel fondere cose apparentemente all’antitesi tra di loro e potenzialmente devastanti come i cannoni di navarone cit. nelle mani di qualunque altro cineasta sono invece quella che si può chiamare perfezione nelle sue. Una maniacale cura di ogni aspetto dalla regia alla sceneggiatura alle soundtrack iconiche che hanno segnato per lungo tempo l’immaginario collettivo di intere generazioni di cinefili cresciuti a pane e cinema pronti a cogliere ogni citazione, ogni movimento della macchina da presa ed ogni attore chiamato a simboleggiare uno specifico genere, come la Pam Grier icona della Blaxploitation di quel Jackie Brown troppo sottovalutato.
Una prefazione necessaria per giungere ad oggi, a questo C’era una volta ad Hollywood. Perchè ha scelto il suo nono film per il suo personale spartiacque. Questa volta del Tarantino conosciuto fino ad oggi non c’è molto, non ci sono dialoghi particolarmente brillanti, non ci sono scene cult, non ci sono discorsi dannatamente inutili ai fini dello sviluppo della storia ma ipnotici nella loro funzione di obnubilamento e alienazione dal reale. Non ci sono nemmeno volgarità o violenze, eccezione fatta per gli ultimi quindici minuti. Si potrebbe pensare al primo, reale, clamoroso insuccesso o addirittura al canto del cigno? Che abbia esaurito la sua vena creativa? Che il matrimonio abbia acceso in lui una lampadina e ne abbia spenta un’altra? Può essere. O può essere invece, come crede il sottoscritto, che semplicemente dati i successi personali raggiunti e non dovendo più dimostrare alcunchè a nessuno abbia voluto concedersi qualcosa che pochi possono permettersi. Tarantino per Tarantino. Un film per se stesso, un film da rivedere, forse, in qualche sperduta sala delle periferie americane mischiato e nascosto tra il pubblico come la Margot Robbie e la sua Sharon Tate che candidamente entra al cinema presentandosi in cassa per gustare il suo lavoro. Una dichiarazione d’amore a quello che per buona parte lo ha fatto diventare ciò che è, quel cinema e quella Hollywood che ha disperatamente amato alla follia e che furono trucidate violentemente quella notte dell’8 agosto del 1969. Perchè sotto le oltre 60 pugnalate inflitte dai seguaci della setta di Manson non morirono solo i 4 presenti, inclusa la Tate incinta di otto mesi, al 10050 di cielo crollò definitivamente quella Hollywood già sul viale del tramonto che vedeva ineluttabile l’avvicinarsi della fine sotto i potenti colpi delle nuove leve e di un nuovo modo di intendere il cinema, non più l’attore come cardine e centro di quel mondo, ma il regista. E per narrare questo atto d’amore Tarantino ha scelto Leonardo di Caprio ed il suo Rick Dalton. Simbolo di quelle pellicole di serie B che molto hanno segnato e formato il regista americano, la sua vera scuola di cinema. Tanto da “costringerlo” a dedicarsi per sei mesi alle pellicole italiane, con un sincero omaggio al nostro Sergio Corbucci. E tanto da arrivare a sottolineare quello che può fare la potenza immaginifica e liberatoria del cinema: La possibilità di riscrivere la storia. Nessuna violenza gratuita, nessuna volgarità, ma solo la sua personalissima vendetta verso chi è stato padre ed esecutore finale di una Hollywood diversa, più leggera ed ancora vagamente innocente. Perchè al cinema le favole esistono, C’era una volta non è altro che questo. Una favola dove la Tate e Rick Dalton si uniscono assieme e si abbracciano a simboleggiare un qualcosa che non è mai avvenuto nella realtà, ma al cinema per un paio di ore può succedere. Un sogno ad occhi aperti. Non siamo Tarantino, non siamo cresciuti con lui, non abbiamo le stesse passioni. E non essendo nostro il sogno non deve piacere a noi, ma è indubbio che per lui deve essere stato quello più bello, poterlo dipingere e riguardarlo all’infinito.

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